Don Mazzi
(sacerdote e fondatore di Exodus)
Milano 24.1.2022
Intervista di Gianfranco
Gramola
“Un domani come vorrei essere ricordato?
Vorrei che i ragazzi che ho amato sapessero che li amo anche dalla parte di là”
Don Antonio Mazzi è nato a Verona il 30
novembre 1929. Diplomato al liceo del Seminario vescovile di Verona nel 1950,
consegue lo studio in Teologia e si laurea in Filosofia all'Università degli
Studi di Ferrara. Nella stessa città viene ordinato il 26 marzo 1956 nella
congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, fondati da San Giovanni
Calabria a Verona nel 1907. Dal 1955 al 1969 partecipa e presto diviene
responsabile di diverse iniziative di assistenza e formazione per giovani: prima
la Città del Ragazzo di Ferrara e la Casa di Formazione a Roncà, poi del
Centro Giovanile della parrocchia San Filippo Neri, nella borgata romana di
Primavalle. Contemporaneamente, tra il 1962 e il 1965 a Roma e Milano frequenta
alcuni corsi di specializzazione di psicologia e psicopedagogia, quindi si
trasferisce a Bologna dove studia Psicoanalisi delle istituzioni presso la
facoltà di Pedagogia speciale con Andrea Canevaro. A seguito della legge
sull'obiezione di coscienza al servizio militare, nel 1974 ottiene una
Convenzione con la Direzione Generale per la Leva del Ministero della difesa in
favore degli obiettori di coscienza. Nel 1975 attua, con la Regione Veneto e
l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, un programma di iniziative
volte a inserire i giovani con disabilità all'interno dei corsi di formazione
professionale per normodotati. Dal 1979 è direttore dell'Opera don Calabria di
Milano in via Pusiano, a ridosso del Parco Lambro. La gravità evidente del
fenomeno della tossicodipendenza lo spinge all'ideazione del Progetto Exodus e
alla fondazione della Comunità Exodus, che nasce nel 1980 per il recupero di
ragazzi tossicodipendenti. Nel 1984 ottiene dal Comune la Cascina "Molino
Torrette", che diventerà la sede madre della Comunità e dei Progetti
Exodus. Da lì partiranno anche varie altre attività dirette al territorio
milanese. Giornalista professionista, fin dall'inizio ha collaborato e collabora
con la stampa: Famiglia Cristiana, Corriere della Sera, La Stampa, Il Giorno,
Avvenire, Jesus sono le maggiori testate. Frequentemente invitato da varie reti
televisive e radiofoniche in dibattiti e incontri su temi sociali di attualità,
soprattutto tossicodipendenza, educazione, famiglia, emarginazione, negli anni
novanta ha partecipato regolarmente a molti programmi televisivi italiani, dei
quali il più popolare è stato Domenica In.
È autore di varie decine di libri. Tra i più
recenti: Le parole di Papa Francesco che stanno cambiando il mondo (2015) -
Spinocchio. Buona strada e non mollate mai (2017) - Dio perdona con una carezza.
Il dizionario di Papa Francesco (2017) - Amori e tradimenti di un prete di
strada. Autobiografia (2017) - Il vangelo dei piedi, Milano (2019) – Il
dialogo del sorriso (2021).
Ha detto:
- La scuola deve essere più aperta e deve
cambiare. Non deve solo insegnare matematica e filosofia, ma anche educare.
- C’è un mondo parallelo, arrabbiato e
violento, che ci viaggia accanto, ma che vogliamo ignorare pensandolo estraneo.
- La politica i poveri li ha sempre
dimenticati. E chi diceva di aver sconfitto la povertà non mostrava rispetto e
umiltà verso questa condizione.
- Riesco a vedere Dio
poco nelle cerimonie o nei cardinali, lo vedo nei poveri. Spero che
quello in cui credi sia vero. Forse ho più speranza che fede.
Intervista
Com’è nata l’idea della fondazione
Exodus, don Mazzi?
E’ nata agli inizi degli anni ’80. Io nel
1978/79 sono venuto a Milano per dirigere un centro di formazione professionale
che aveva un migliaio di allievi. In quel periodo era scoppiato il grosso
fenomeno del parco Lambro dove circolava abbondantemente la droga e dove c’era
il terrorismo. Prima ero a Verona a lavorare con i disabili e con gli obiettori
di coscienza e mi hanno chiesto se potevo venire a Milano. Io incuriosito da
questo fenomeno e appunto per il senso di curiosità per come sono fatto io, ho
pensato di rischiare, perché il problema era se tenere aperto il centro, che si
trovava a ridosso del parco Lambro, proprio per il fenomeno pesante della droga
e perché i mille ragazzi che c’erano nel centro, erano in pericolo. E così ho
cominciato nel settembre del ’79 a lavorarci, dopo ho cercato di approfondire
e capire questo fenomeno e mi sono spaventato molto ad un certo momento. Poi
avendo l’indole del veneto un po’ insensato, un po’ per il mio carattere
bizzarro e in più mi sono sempre piaciute le sfide, le avventure e un po’ per
la mia incoscienza, ho cominciato, una sera, dopo che avevo trascorso tutta la
giornata con i ragazzi della formazione professionale, a frequentare il parco
Lambro. E’ da ignorante o meglio da incosciente, che, non conoscendo bene il
fenomeno, ad un certo punto mi sono trovato con un coltello alla gola e con le
minacce. Poi ho cominciato a frequentare le Acli e con alcuni insegnanti di una
scuola di liceali che vedevano dalle finestre l’avanti e l’indietro del
parco Lambro, mi sono informato bene e ho cominciato a fare delle riflessioni, e
poi abbiamo iniziato a fare degli spettacoli dentro il parco.
Ad esempio?
Abbiamo fatto uno spettacolo con dei cavalli
tipo circo e poi attività sportive e concerti.
Sono passati da lì Renato Zero, anche i Nomadi e abbiamo fatto un po’ di
tutto. Dopo tre anni di lavoro ad un certo punto sono andato ad informarmi nelle
varie comunità, quindi da don Gelmini, don Ciotti e a San Patrignano.
Voleva fare una comunità?
No, io non volevo fare una comunità e non è
che amo molto le comunità. Copiando un po’ l’idea americana, che al posto
di far fare il carcere minorile, aveva ideato il percorso delle carovane del Far
West, cosa che mi aveva affascinato subito. Ho preso quattro camper, sono andato
nel parco Lambro e ho chiesto chi voleva venire con me e devo dirti che nel giro
di un mese 14 ragazzi li ho recuperati. Ho preso tre obiettori di coscienza che
erano lì nel centro per darmi una mano e abbiamo fatto la nostra prima
carovana, che è partita nel marzo del 1984 ed è durata 9 mesi. Siamo stati in
giro 9 mesi con questi 14 ragazzi. Ho fatto tutto questo da incosciente, mentre
gli altri facevano preparazioni e chiudevano le comunità. Venendo dallo
scoutismo, venendo dalle attività sportive e attività giovanili, ho realizzato
questo sogno, questa avventura ed è stata un’avventura straordinaria. Anche
adesso, ogni anno facciamo delle carovane, perché le carovane fanno parte del
programma e devo dirti che il periodo delle carovane è sempre il periodo
migliore.
In che condizioni erano i 14 ragazzi che
ha preso in casa dal parco?
Erano in condizioni pessime, tossicomani
poverini, distrutti. Ne ho salvati 13 perché uno purtroppo è morto di aids.
Comunque è stata l’esperienza più riuscita perché in tutte le altre
esperienze ne ho perso di più e anche nelle comunità ne perdono parecchi anche
adesso.
Il suo motto è “seminare”. Lei nella
vita ha seminato molto. Ha avuto un buon raccolto?
Devo dire che io per fortuna non ho mai visto
e non mi sono mai condizionato da quello che raccolgo, perché se tu ti
condizioni ai risultati in questo mondo, ti distruggi. Io mi sono detto:
“Semino, poi sarà quello che Dio vorrà. Se riescono a salvarsi bene, se non
si salvano non è per colpa mia, perché io faccio quello che posso”. Fra
centinaia di migliaia di ragazzi che ho avvicinato, mi ricordo soprattutto i
morti. Quando dico la Messa, una volta al mese, con i ragazzi della comunità
ricordiamo ogni volta quelli che non ci sono più. Io amo i ragazzi che
considero come dei figli, perché la mia famiglia è questa e questo amore per i
ragazzi mi ha salvato da tutte le altre “puttanate” che fanno gli altri
preti e ti dico che grazie a questa avventura, nonostante i miei 92 anni, faccio
ancora la vita che facevo quando ho cominciato. Dalle 6.30 del mattino a non
sapere mai a che ora andrò a dormire.
Come mai? Cosa succede la sera?
Perché quasi sempre la notte arriva
l’ispezione della polizia, perché abbiamo dei ragazzi che vengono in
alternativa al carcere.
Più di una?
Magari ci fosse una sola ispezione, invece
prima viene la pattuglia dei carabinieri perché deve controllare uno dei
ragazzi, poi vengono quelli della polizia perché devono controllarne un altro.
Per cui è un via vai di ispezioni.
Qual è la domanda che spesso rivolge a
Dio?
Tra me e il Padre Eterno ci sono delle
incomprensioni. Io vorrei una chiesa più semplice, una fede più semplice e io
non amo questa chiesa dove la fede viene sostituita dalle cerimonie religiose.
Non c’è una diversità fra uno che va a Messa e uno che va ad un incontro con
qualche principe e qualche magistrato. Io odio le cerimonie, l’ho detto mille
volte. Certamente il Dio del Vangelo non è il Dio delle cerimonie e quindi
anche la Messa io la dico un po’ alla mia maniera. Al Padre Eterno non chiedo
niente, so che è un mistero, spero che ci sia come padre. Io sono rimasto senza
papà che avevo 15 mesi e mio fratello era nella pancia della mamma e ho sempre
sofferto la mancanza di un padre. Devo
anche confessarti che non avevo mai pensato di fare il prete, anche se poi ho
fatto la scuola dai preti, perché essendo una famiglia povera la scuola dai
preti non costava niente e io l’ho fatta, però l’ho amata e odiata come
tutti quelli che vanno a scuola dai preti. A me piaceva molto la musica e mi
piaceva il pianoforte e avevo cominciato a fare il
Conservatorio e pensavo, finito il Liceo, di andare a Bologna, anche
perché mi piaceva visitare la città di Bologna e allora avevo anche un
professore che conoscevo. Pensavo di fare il conservatorio e anche pedagogia,
perché mi piaceva anche fare l’insegnante. Nel 1951 ci fu l’alluvione del
Po’ e siccome il vecchio seminario
era vuoto, ho chiesto a Don Calabria, che era il fondatore di questa mia
congregazione, se poteva darmi quella casa per farne una specie di città dei
ragazzi. Allora il tema o meglio l’idea della città dei ragazzi veniva
dall’America, la Flanagan, per cui era molto interessante per noi che eravamo
lì per fare pedagogia ideare questa nuova idea. Quindi abbiamo aperto la città
dei ragazzi a Ferrara e purtroppo, poco dopo che abbiamo aperto, con
l’alluvione del ’51 abbiamo dovuto accogliere centinaia di ragazzi
alluvionati. L’alluvione del Po’ aveva fatto centinaia e centinaia di
vittime. Quindi ci siamo trovati con più di 300 ragazzi e io, insieme ai vigili
del fuoco e dei volontari, sono andato sul barcone a tirar giù i ragazzi dai
tetti che urlavano. Ho ancora nelle orecchie quelle urla strazianti e il rumore
del Po’ che era così strano, che non sono ancora riuscito a tirarmelo fuori
dalle orecchie. Spesso mi capita che mi sveglio di notte ancora con
questo strano rumore del fiume. E’ stato un fenomeno dove dalla sera alla
mattina tanti bambini si sono ritrovati senza mamma, senza papà e senza casa.
Anch’io sono rimasto senza papà ecco perché ho fatto il papà di questi
bambini.
Perché?
Perché riempio questo mio vuoto, che era la
mancanza di un padre, facendo il padre, invece
di fare il prete. Quindi invece di fare il conservatorio, ho accettato di
dirigere “La città dei ragazzi” che aveva fondato il vescovo Ruggero
Bovelli e ho detto al vescovo: “Senta, faccio il prete, così posso fare il
padre di tutti questi ragazzi, che ne dice?”. Ho detto così, da matto, come
sono sempre stato e il Vescovo mi ha risposto: “Va bene, però tu devi
convertirti prima di fare il prete”. Il vescovo di Ferrara era un bel vescovo,
come quelli di una volta, con la porta sempre aperta. A dire la verità devo
ancora convertirmi e ho cominciato con i ragazzi dell’alluvione, poi sono
stato a Verona, dove ho fatto un’esperienza regionale con i ragazzi che
avevano dei problemi, che allora venivano chiamati handicappati, portatori di
handicap e poi mi hanno chiamato a Milano. Era il ’79, nel momento più
delicato e più importante ed è stata per me l’avventura più grande. Pensa
che io c’ero venuto solo per curiosità, invece è stata la mia fortuna, perché
con il carattere che ho io, se avessi fatto una vita regolare, mi sarei perso.
Avevo bisogno di una vita da matti (risata). Devo ringraziare il Padre Eterno
che mi ha dato questo caratteraccio molto particolare.
Tempo fa una signora anziana mi ha
chiesto: “Cosa serve pregare?”. Giro la domanda a lei Don Mazzi.
Il problema del pregare è un problema di
relazioni. La vita umana diventa una vita seria se ha relazioni vere, relazioni
serie. Ognuno di noi è conforme alle relazioni che ha. I miei ragazzi, perché
sono finiti male?
Perché hanno sbagliato relazioni?
Esatto, Gianfranco. Hanno sbagliato
relazioni. Una delle relazioni importanti è quella
con l’infinito, con l’aldilà, con il dopo. Siccome il dopo è un problema
per tutti, al dopo dobbiamo porci delle domande. Chi crede allora pensa a questo
Dio Padre che non si capisce e che diventa un mistero, ma è anche giusto che
sia un mistero e spero che sia quello che mi abbraccerà quando andrò
nell’aldilà.
Cos’è per lei la Fede?
Per me la Fede è relazionarsi con Dio
attraverso la preghiera. Come ti metti in rapporto con un amico, con un ragazzo,
con un bambino, con Madre Teresa di Calcutta, come è capitato a me, oppure ti
metti in rapporto con Fabrizio Corona. Quindi è un rapporto con l’immenso,
con l’infinito. Io spero che questo mio desiderio, un domani, venga realizzato
con questo grande incontro. E’ per quello che la preghiera è spontanea e il
Padre Nostro per esempio, è una preghiera bellissima, semplicissima. Non è
come quelle preghiere che fanno adesso dove non capisci niente. Se tu vai a
messa e senti il prefazio del prete, non capisci una parola (risata). Il vangelo
è una cosa molto semplice, poi chi crede bene, chi non crede una domanda se la
deve fare sul “dopo”. Io preferisco sbagliarmi pensando a questa cosa bella,
piuttosto che indovinare e pensare ad una cosa brutta.
Prima diceva del suo incontro con Madre
Teresa di Calcutta. Come ricorda quell’avvenimento?
Abbiamo fatto una tavola rotonda a Roma
sull’aids, perché lei in quei giorni era venuta nella capitale perché aveva
aperto una comunità. Abbiamo fatto questa riunione dove c’ero io, c’era lei
e anche l’assessore dei servizi sociali di Roma e mi sembra che c’era anche
uno psichiatra e dopo siamo andati a visitare questa comunità che aveva aperto
nella zona vicino a Trastevere ed è stata una giornata straordinaria. Questa
donna mi ha stretto la mano, era tutta pelle e ossa e aveva uno sguardo che ti
sconvolgeva. Mi ricordo che mi ha detto qualcosa sull’aids, poi tutto il suo
tema era quello di non avere paura della morte. In fondo in fondo se stai bene
in questa comunità di malati di aids, non devi aver paura della morte. Questa
è la cosa che mi ricordo.
Lei scrive sui giornali, pubblica libri,
dirige la sua Fondazione. Dove trova tutta questa energia? Qual è il segreto?
Non te lo so dire e spesso me lo domando
anch’io, forse il carattere del veneto bastardo (risata). Sono un gran
lavoratore e devo dire che un po’ del veneto ce l’ho ancora dentro, anche se
dal ’70 sono qui a Milano. E lavoro volentieri e non capisco uno che non
lavora. Io ho quattro lauree e scrivo il 50° libro che esce fra un paio di
mesi. Lavoro giorno e notte ma non faccio nessuna fatica. Mi domando gli altri
cosa fanno, parlo di quelli che hanno 80 anni, cosa fanno? Quello che faccio non
lo considero un lavoro, ma lo
considero “vita”. Forse se lo
considerassi un lavoro, forse direi “Sono le sette e sono ancora qui”. Ma
siccome lo considero “vita”, quello che faccio è quello che sono e quindi
questa è la mia vita e cerco di viverla con passione ed entusiasmo.
Un domani, come vorrebbe essere ricordato?
Io vorrei che i ragazzi che ho amato
sapessero che li amo anche dalla parte di là. Sono stato un uomo molto
semplice, molto caratteriale, quindi piaccio a qualcuno, mentre ad altri meno.
Credo nell’amicizia, perché l’amicizia è più grande dell’amore. Perché
l’amore esige la presenza, l’amicizia invece anche se un amico è lontano
centinaia di chilometri, rimane
sempre un tuo amico. Gli sposi, arrivati ad un certo momento della vita, quando
la passione e l’amore si è affievolito, o rimangono amici forti e allora
restano insieme, altrimenti vanno altrove.
Qual è il titolo del nuovo libro?
Il titolo è “Gesù uomo” ed è una
visione mia sul vangelo ed esce in marzo (edizione
Solferino).